Psiche e corpo: patrimonio indissolubile
Introduzione al libro
Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo.
albert ei nstei n (1879-1955)
“Sono vivo”.
“Ho vinto io… o forse no. Comunque sono vivo”.
La consapevolezza di avere sconfitto un male come il cancro non è così immediata come queste due frasi potrebbero far pensare.
Ma a un certo si comincia a credere a ciò che medici e familiari sostengono.
Il sospetto che non dicano la verità, la scaramanzia, la sensazione di non stare bene perché le cicatrici delle cure lasciano strascichi che tardano, quasi fossero monito, a lasciare il corpo, le cellule, la mente, accompagna per un po’ il dopo. Per troppo tempo si è viaggiato con quella bomba ad orologeria dentro e sottoposti a trattamenti che spesso sembrano peggio del male stesso.
Parenti, amici, colleghi di lavoro o di scuola o semplicemente di vita fanno di tutto per confondere le idee del malato, in buona fede, cercando
di assisterlo o coccolarlo, non parlando della malattia anche se poi è come se ne parlassero in continuazione.
È come se il cancro abbia colpito tutto l’ambiente in cui si vive e con cui si viene in contatto. Per un po’ di tempo anche dopo quest’atmosfera circonda chi ormai si può considerare sopravvissuto.
E il viaggio con l’ospite sgradito continua, a volte presente ma senza più il sopravvento e quindi disinnescato, a volte semplicemente nella
memoria, nella psiche. Come gli arti fantasma degli amputati. Anche il post è un viaggio, il reset psicofisico, nuove abitudini, nuovi stili di
vita, nuovi interessi e nuove scoperte. Rimotivazioni di vita. Ecco perché il nome Onconauti scelto per l’associazione fondata dall’oncologo
Stefano Giordani ha più di un senso, ha simbolismi suggestivi.
I ‘sopravvissuti’ o ‘lungo-sopravviventi’ (in inglese cancer survivors, ma è molto più motivante ‘Onconauti’) devono continuare il viaggio
cambiando rotta verso una meta finalmente più attrattiva che si chiama guarigione (fase di follow-up), convivendo con gli effetti collaterali
tardivi ed il timore di una recidiva. Questa condizione di stress psicofisico viene spesso acutizzata da una serie di visite mediche e di esami
di controllo e soltanto al termine di questa lunga trafila i pazienti potranno con certezza essere dichiarati ‘guariti’. Il tutto accompagnato
da una riabilitazione del corpo e dell’essere fondamentale e anche da progettare il più ‘personalizzata’ possibile.
Uno dei diritti della persona, in salute o malata che sia, dovrebbe essere quello di venire considerata sempre nella sua unità psicofisica.
Un diritto spesso dimenticato.
Già per Platone era un grande errore che nel trattamento delle malattie ci fosse chi curava il corpo e chi curava l’anima, mentre, in realtà,
anima e corpo non possono essere divisi… «Ma proprio questo ignorano i medici, e solo per tale motivo sfuggono loro così tante malattie:
essi, cioè, non vedono mai il tutto». Platone denunciava una scarsa attenzione da parte degli scienziati a lui contemporanei verso l’anima,
da leggere come psiche, e verso l’«insieme» individuo.
Da Platone alla medicina del Terzo Millennio il problema resta. Umberto Veronesi, oncologo italiano di fama internazionale, spesso mi
ripeteva che oggi è urgente ristabilire tra medici e pazienti un rapporto più disteso e umano: “Non si deve e non si può concentrare lo
studio solo sulle malattie – diceva –; è indispensabile ragionare anche su come creare, e mantenere, un rapporto con il paziente, e su quanto
sia importante curare lo spirito oltre che il corpo. Duemila anni fa il medico si occupava dell’insieme della persona, la metteva al centro
delle sue attenzioni anche quando la persona era del tutto sana. Oggi, e negli anni a venire, non potrà che ritornare a essere così”. Prima della
malattia, durante e dopo. Perché ormai di anno in anno aumenta il numero dei guariti. Grazie al progresso delle conoscenze, le armi e le
strategie che oggi permettono di affrontare il tumore in modo vincente e non distruttivo ci sono. Certo, ci sono voluti venti, trenta anni di
prove, controprove, polemiche, fallimenti, successi.
E di false speranze, di sospetti verso la medicina ufficiale, di scoraggiamento.
Senza speranza si è già sconfitti in partenza. Comunque, oggi la scienza ha realmente accerchiato il problema cancro che sta lavorando all’obiettivo ‘mortalità zero’.
Un esempio, che è anche il più gratificante per la scienza, è quello delle donne che hanno o hanno avuto un ‘tumore femminile’.
Circa un milione in Italia: un esercito sperduto e senza armi per far fronte all’insieme di problemi del corpo e della mente legate alla malattia
e alla sua cura. Vanno tutte restituite alla loro quotidianità: donne che non hanno più un tumore in un certo organo, ma hanno difficoltà a riprendere la loro vita affettiva, sessuale, lavorativa ed a ritrovare i ruoli sociali. E a liberarsi dello stigma tumore. Possono e devono tornare al loro stato di salute globale in tutti gli aspetti, inclusa la sessualità. Ecco l’obiettivo prioritario.
Gli onconauti, quindi, grazie ai progressi compiuti dalla ricerca scientifica, sono sempre di più, attualmente il 5% della popolazione italiana,
e i loro problemi di salute spesso hanno un impatto negativo sulla ripresa della vita lavorativa e sugli equilibri famigliari e di coppia.
E il problema va di pari passo al continuo aumento dei nuovi casi di tumore che si correla alla longevità e ad uno stile di vita sempre meno
salutare. Più malati, ma anche più guariti. Più onconauti. Di qui il libro pubblicato dalla Regione Emilia Romagna che ha come filo conduttore
un percorso fotografico firmato Giovanni Marinelli che rappresenta un modo nuovo ed originale di raccontare il progetto dell’Associazione
e i suoi percorsi di riabilitazione integrata oncologica.
Connubio tra arte fotografica e onconauti, i cui volti racchiudono un percorso ed una storia. Immagini e storie.
Questo libro è un viaggio nel viaggio: quello dell’Associazione e quello dei sopravvissuti e dei guariti che hanno trovato proprio nell’Associazione un percorso di recupero psico-fisico, di correzione di stili di vita, di rimotivazione, di riappropriazione della propria immagine, sicurezza, autostima. Un reset completo per ripartire, ma non da zero.
Più forti e più belli perché sopravvissuti, anzi Onconauti.
Vinto il cancro, ci si dovrebbe sentire un po’ super eroi. Se così non è, lo si deve diventare psicologicamente e diventare anche stimolo per
chi è ancora sballottato dalla tempesta della malattia e dalle cure per sconfiggerla. Se di viaggio dall’Inferno al Paradiso si tratta ogni onconauta è un Virgilio che guida un malato Dante.
Prefazione di Mario Pappagallo
Se si riuscisse a dare a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico avremmo trovato la strada giusta per la salute.
IPPOCRATE (460-377 a.C.)
“Dedicate almeno due ore alla settimana alla vostra salute”.
Il progetto dell’Associazione Onconauti si rivolge a un bisogno di nuovo tipo della nostra società, il bisogno di benessere che interessa le tante, tantissime persone (ormai circa tre milioni, il 5% della popolazione italiana), che sono “sopravvissute” a un tumore.
La percezione negativa del proprio stato di salute che molte di queste persone, (almeno il 40%), continuano a presentare anche a distanza di molti anni dal termine delle terapie, turba il loro equilibrio esistenziale, e spesso si riflette negativamente sulla vita famigliare, di coppia, sulle relazioni sociali e sul normale svolgimento delle attività lavorative.
Le linee guida scientifiche indicano che la pratica di alcune tecniche mente-corpo, come lo yoga, il miglioramento dello stile di vita (soprattutto alimentazione e movimento) e diverse forme di supporto psicologico per contrastare il di stress cronico rappresentano il miglior rimedio oggi disponibile per migliorare lo stato di salute e il benessere della maggior parte di queste persone.
Il metodo riabilitativo proposto dall’Associazione è quindi un metodo olistico, interdisciplinare, e che si poggia su solide basi scientifiche.
Prevede la pratica settimanale dello yoga, una alimentazione salutare e equilibrata, mezz’ora almeno di camminata al giorno, e un gruppo di riferimento per compiere insieme un percorso di miglioramento del benessere.
Si tratta di un metodo che, dati alla mano, si è rivelato di provata efficacia scientifica, in quanto è realmente in grado di migliorare lo stato di benessere e la qualità di vita della maggior parte dei partecipanti ai corsi (circa il 90%).
Definire i sopravvissuti al cancro “Onconauti” non vuole essere uno snobismo dialettico, ma il tentativo di proporre una definizione in lingua italiana, facilmente comprensibile a tutti, garbata e rispettosa, di questa particolare fase della vita, nella quale sia possibile una identificazione positiva, e di cui si possa tranquillamente parlare, senza evocare gli scongiuri e le reazioni di paura che ancora, nel nostro paese, vengono evocate dalla parola “cancro”.
C’è, nel nostro sistema sanitario, un anello mancante, che ci auguriamo possa essere presto colmato dall’apertura delle “Case della salute”:
servono strutture e i percorsi in grado di produrre benessere, di alleviare gli esiti delle terapie dei pazienti oncologici, ma anche di aiutare le fasce più a rischio della popolazione, gli anziani prima di tutto, a restare più in salute mettendo in atto comportamenti più salutari.
Ci auguriamo che questa pubblicazione possa essere di qualche utilità, e ringraziamo di cuore tutti coloro che la hanno resa possibile la sua pubblicazione, e soprattutto quanti, volontari, amici, professionisti, e onconauti, si stanno impegnando in diverse regioni italiane in questo grande progetto.
A tutti, e a noi stessi prima degli altri, ripetiamo la nostra raccomandazione numero uno: “Dedicate almeno due ore alla settimana alla vostra salute”